Fattore di correzione per la deduzione del costo del lavoro nei Gruppi di società

Con il Decreto 27 giugno 2025 pubblicato in Gazzetta, sono state apportate modifiche al Decreto del Ministro dell’economia e delle finanze del 25 giugno 2024, in coordinamento con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali. L’obiettivo principale è chiarire le modalità di calcolo della maggiorazione dei costi deducibili per le nuove assunzioni, specialmente per le società che fanno parte di un “gruppo interno”.

Il DM 25 giugno 2024 contiene disposizioni di attuazione dell’articolo 4 del decreto legislativo 30 dicembre 2023, n. 216, il quale ha introdotto, per i titolari di reddito d’impresa e gli esercenti arti e professioni, una maggiorazione del costo del lavoro deducibile in caso di incremento del numero di lavoratori dipendenti con contratto a tempo indeterminato.

Il beneficio è stato prorogato per il periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2024 e per i due successivi, in base all’articolo 1, commi 399 e 400, della Legge 30 dicembre 2024, n. 207.

 

Secondo il nuovo comma 8 dell’articolo 5 del DM 25 giugno 2024, come modificato dal Decreto 27 giugno 2025 “ogni soggetto appartenente al gruppo interno determina la maggiorazione del costo, qualora spettante ai sensi dell’art. 4, riducendo quello da assumere ai sensi del comma 1 ai fini della maggiorazione, di un ammontare pari al prodotto tra il minore importo del costo riferibile ai suoi nuovi assunti a tempo indeterminato e l’incremento del costo complessivo del suo personale e il rapporto tra la somma degli eventuali decrementi occupazionali complessivi e la somma degli incrementi occupazionali complessivi riferibili a tutte le società del gruppo interno”.

 

Il nuovo comma 8 dell’articolo 5, come chiarito nella relazione illustrativa del MEF, precisa dunque che il beneficio fruibile da ciascun soggetto appartenente al “gruppo interno” è determinato applicando al costo “agevolabile” un “fattore di correzione”.

Il costo “agevolabile” è calcolato, in prima battuta, secondo le regole previste per i soggetti stand alone (ossia pari al “minore importo del costo riferibile ai suoi nuovi assunti a tempo indeterminato e l’incremento del costo complessivo del suo personale”).
Il “fattore di correzione” è costituito dal rapporto tra la somma degli eventuali decrementi occupazionali complessivi e la somma degli incrementi occupazionali complessivi riferibili a tutte le società del gruppo interno.

 

In dettaglio, per la determinazione del “fattore di correzione“:

  • I decrementi occupazionali complessivi sono intesi come la riduzione del numero dei lavoratori dipendenti (inclusi quelli a tempo determinato) verificatasi alla fine di un periodo d’imposta, rispetto al numero degli stessi lavoratori mediamente occupati nel periodo d’imposta precedente. Tali diminuzioni costituiscono il numeratore del rapporto. Le società che hanno decrementato la forza lavoro complessiva non hanno diritto alla maggiorazione.
  • Gli incrementi occupazionali complessivi sono intesi come l’aumento del numero dei lavoratori dipendenti (inclusi quelli a tempo determinato) verificatosi alla fine di un periodo d’imposta, rispetto al numero degli stessi lavoratori mediamente occupati nel periodo d’imposta precedente. Tali  incrementi costituiscono il denominatore del rapporto.

L’applicazione del “fattore di correzione” avviene come segue: se il “fattore di correzione” è superiore a 0 e inferiore a 1, deve essere applicato da ciascun soggetto del gruppo che ha avuto l’incremento occupazionale di lavoratori a tempo indeterminato e che ha contribuito ad alimentare il denominatore del rapporto. Ciò significa che il costo da maggiorare per la singola società viene ridotto. Qualora il “fattore di correzione” risulti pari o superiore a 1, la maggiorazione non spetta ad alcuna società del gruppo. Viceversa, se il rapporto è pari a 0, non sussiste alcun fattore di correzione derivante dall’appartenenza al gruppo.

 

Il MEF spiega che questa nuova formulazione è stata introdotta per superare alcune incertezze interpretative che avrebbero potuto portare a applicazioni non coerenti con la ratio della disposizione agevolativa. L’obiettivo è dare rilevanza al gruppo come unico “soggetto economico”, al fine di determinare il beneficio in misura tendenzialmente pari a quella che si sarebbe determinata se il “soggetto economico” fosse coinciso con un unico soggetto giuridico.
La modifica si intende applicabile sin dal primo periodo d’imposta di vigenza della disciplina agevolativa, e quindi ha effetto già sul versamento a saldo delle imposte relative al periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2023 (ad esempio, 30 giugno 2025 per i soggetti con esercizio coincidente con l’anno civile) e sulle relative dichiarazioni dei redditi (ordinariamente entro il 31 ottobre 2025 per i soggetti con esercizio coincidente con l’anno civile).

Rimborsi spese per missioni estere: tracciabilità del pagamento non più richiesta

La risposta del 10 luglio 2025, n. 188, dell’Agenzia delle entrate chiarisce il trattamento fiscale dei rimborsi spese per vitto, alloggio, viaggio e trasporto ai dipendenti in missione all’estero.

l quesito è stato sollevato da un Ministero, il quale ha richiesto chiarimenti sul trattamento fiscale dei rimborsi spese ai dipendenti impegnati in missioni e/o trasferte all’estero. La domanda sorge a seguito delle modifiche introdotte dall’articolo 1, comma 81, della Legge 30 dicembre 2024, n. 207 (Legge di bilancio 2025), che riguarda le modalità con cui il dipendente è tenuto a effettuare il pagamento. L’Istante ha evidenziato che i propri dipendenti potrebbero essere inviati in missione o trasferta in Paesi dove gli strumenti di pagamento tracciati non sono diffusi.

 

L’Agenzia delle entrate ha analizzato la questione alla luce delle recenti modifiche legislative. L’articolo 1, comma 81, lettera a), della Legge di bilancio 2025, infatti, ha modificato l’articolo 51, comma 5, del TUIR. Tale modifica ha aggiunto che i rimborsi delle spese per vitto, alloggio, viaggio e trasporto, non concorrono a formare il reddito se i pagamenti delle predette spese sono eseguiti con versamento bancario o postale ovvero mediante altri sistemi di pagamento previsti dall’articolo 23 del D.Lgs. n. 241/1997.

In sostanza, al fine della non concorrenza al reddito di lavoro dipendente dei rimborsi spese di cui al citato comma 5 dell’articolo 51, il dipendente deve effettuare i
relativi pagamenti con mezzi diversi dal contante.

 

Successivamente, l’articolo 1, comma 1, lettera b), del D.L. n. 84/2025, ha ulteriormente modificato il suddetto periodo del comma 5. Questa nuova modifica ha specificato che la condizione dei pagamenti tracciati si applica ai rimborsi delle spese “sostenute nel territorio dello Stato”.

 

Pertanto, a seguito di quest’ultima modifica legislativa, per le missioni e/o trasferte effettuate al di fuori del territorio dello Stato, la tracciabilità del pagamento non è più richiesta ai fini della non imponibilità dei rimborsi spese ai dipendenti ai sensi del comma 5 dell’articolo 51 del TUIR.

Rinuncia ai dividendi da parte di soci: trattamento fiscale e sopravvenienza attiva

È stata pubblicata dall’Agenzia delle entrate una risposta a interpello per offrire chiarimenti sul trattamento fiscale della rinuncia alla distribuzione di utili da parte di soci di società, persone fisiche non in regime d’impresa (Agenzia delle entrate, risposta 8 luglio 2025, n. 182).

Sul trattamento fiscale da applicare alla rinuncia ai crediti da parte dei soci, l’Agenzia delle entrate ha confermato che l’articolo 88, comma 4-bis, del TUIR stabilisce che tale rinuncia si considera sopravvenienza attiva per la parte che eccede il relativo valore fiscale. Se il socio non comunica tale valore, esso è assunto pari a zero.

 

La risoluzione n. 124/E/2017 ha chiarito che con l’introduzione del citato comma 4bis viene riformato il regime fiscale IRES delle rinunce a crediti da parte dei soci, riconducendolo a unità, a prescindere dalla modalità con cui l’operazione formalmente svolta, nonché dai principi contabili utilizzati dai soggetti coinvolti. In particolare, tanto per le operazioni di rinuncia diretta a crediti originariamente sorti in capo al socio, quanto per quelle precedute dall’acquisto del credito (o della partecipazione) da parte del socio (o del creditore), il nuovo regime qualifica fiscalmente come ”apporto” la sola parte di rinuncia che corrisponde al valore fiscalmente riconosciuto del credito. L’eccedenza, invece, costituisce per il debitore partecipato una sopravvenienza imponibile, a prescindere dal relativo trattamento contabile, con la conseguenza che si può generare un fenomeno di tassazione da gestire con una variazione in aumento in sede di dichiarazione dei redditi”.

 

Nel caso di specie, l’Istante ha affermato che i predetti soci sono persone fisiche non in regime di impresa
La stessa risoluzione n. 124/E ha precisato che quando i crediti sono dovuti a persone fisiche non esercenti un’attività di impresa, e non è ravvisabile alcuna differenza tra il valore fiscale dei crediti rinunciati e il loro valore nominale, la società partecipata non dovrà tassare alcuna sopravvenienza attiva ai sensi del comma 4-bis dell’articolo 88 del TUIR.
In questi casi, non è nemmeno necessaria la comunicazione alla società partecipata del valore fiscale dei crediti, poiché le “distorsioni” che il legislatore intendeva scongiurare (dovute alla mancata coincidenza tra valore nominale e valore fiscale) sono ravvisabili soltanto in presenza di un’attività d’impresa.

 

L’Agenzia ha sottolineato che, nel caso in esame, il valore fiscale del credito dei soci persone fisiche non esercenti attività di impresa corrisponde al rispettivo valore nominale, e non è pari a zero come invece sottoscritto dai soci nell’atto di notorietà.

 

L’Agenzia, infine, ha distinto la fattispecie in esame da quella della sentenza della Corte di Cassazione n. 16595/2023: la sentenza riguardava un credito derivante da un contratto di finanziamento (interessi su mutuo) in cui la rinuncia avveniva successivamente all’acquisto del credito da parte del socio/società rinunciante, una situazione diversa dalla rinuncia a dividendi da parte di persone fisiche non imprenditori.

In relazione al quesito, la rinuncia dei soci ai crediti per dividendi non viene considerata sopravvenienza attiva per l’Istante, ai sensi e per gli effetti del comma 4-bis dell’articolo 88 del TUIR. Dato che i dividendi oggetto di rinuncia sono stati deliberati dall’Assemblea dei soci, creando il diritto di credito dei soci alla distribuzione, l’Agenzia ritiene che detti dividendi siano da considerare giuridicamente incassati.
Pertanto, tali dividendi sono da assoggettare a ritenuta a titolo di imposta del 26% ai sensi dell’articolo 27 del D.P.R. n. 600/1973.